Moda green: l’evoluzione del fashion ecosostenibile

I modelli di business devono necessariamente evolversi come conseguenza dei cambiamenti sociali in atto, seguendo, come unica via maestra per il successo, le esigenze dei consumatori. Da questo presupposto partono quei brand che costruiscono la propria reputazione legandola all’impatto positivo sul vissuto quotidiano delle persone e alla responsabilità sociale d’impresa.

Questi sono i meaningful brand o brand rilevanti, risultato di una elevazione ad un livello superiore del marketing aziendale con l’obiettivo di avere un ruolo proattivo nel benessere dei clienti e, più in generale, della comunità, seguendo il trend delle “risveglio delle coscienze” soprattutto sul tema della tutela ambientale e della salute.

Havas Group, una delle più importanti agenzie di comunicazione a livello mondiale, rileva la connessione tra successo di un’impresa e la capacità di comunicare la propria rilevanza nella società.

Nel loro ultimo studio, condotto su un campione di quasi 400 mila consumatori, si evidenzia come il 73% degli intervistati crede che i brand debbano essere attivi nella risoluzione di problemi ambientali e sociali, altrimenti rischiano di essere sostituiti con facilità nelle preferenze di consumo.

Anche la moda non può restare fuori da questa rivoluzione green dei meaningful brand e, visto l’impatto ambientale devastante che possono avere le produzioni tessili, l’inversione di marcia verso la moda green e il fashion ecosostenibile è una realtà, sia per chi ci crede davvero, che, per chi per necessità comunicative, segue la tendenza tracciata da consumatori più consapevoli.

Quando si può parlare di moda green? Qual è l’evoluzione del fashion ecosostenibile? Ecco alcune buone pratiche grazie alle quali anche il mondo del fashion può contribuire a limitare l’impatto ambientale sul pianeta

Moda sostenibile: l’attenzione alle materie prime e alla tracciabilità di filiera

Un processo produttivo più verde nel fashion deve avere le proprie fondamenta sull’utilizzo di materie prime e processi di produzione che abbiano un impatto più sostenibile, una tracciabilità di filiera seria e a pratiche di riutilizzo di prodotti di scarto. L’uso di fibre biodegradabili o riciclabili e la costruzione di una green supply chain è in cima alla to-do list di un numero sempre maggiore di brand, big del lusso e colossi della fast fashion inclusi.

Gucci ha annunciato ufficialmente che la sua catena di produzione è interamente carbon neutral dato che sostenendo la conservazione delle foreste in tutto il mondo, il brand riesce a compensare le emissioni di gas serra prodotte annualmente con le proprie attività.

Altro esempio virtuoso è la stilista Maggie Marilyn, laureata in Moda e Sostenibilità, da anni opera con una private label con cui realizza capi con fibre totalmente frutto del riciclo e con imballaggi plastic free in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

 

Moda green: le sfilate ecosostenibili

Era il 2010 quando Chanel ha messo in piedi a Parigi la sfilata autunno-inverno spostando un iceberg vero, di quasi 300 tonnellate, dalla Svezia al Grand Palais, abbassando la temperatura della struttura sotto lo zero per evitare lo scioglimento del ghiaccio.

Niente di più anacronistico ormai, pensiamo alla settimana della moda di Copenhagen, che si è ritagliata uno spazio di rilievo tra le grandi fashion week mondiali, puntando dal 2020 ad organizzare sfilate ecosostenibili, riducendo del 50% l’impatto sul clima rispetto alle edizioni precedenti, una gestione dei rifiuti con obiettivo zero waste e richiedendo requisiti di ecosostenibilità ai brand che vogliono parteciparvi.

Una riflessione necessaria è stata imposta al mondo delle sfilate di moda, che, soprattutto dopo gli effetti della pandemia da COVID19, ha dovuto ripensare le fashion week e gli eventi più importanti riducendo l’impatto che i voli internazionali, le auto noleggiate sul posto, i set scenografici smantellati in discarica a fine evento avevano fin ora contribuito all’inquinamento globale.

Il mercato dell’usato e il fashion renting

È stato stimato che ogni anno vengono spesi circa quasi 500 miliardi di euro per indumenti che vengono indossati davvero poco per poi diventare spazzatura, senza che gli venga donata nuova vita.

Il new normal è dare nuovo valore a vestiti poco usati con la consapevolezza che potranno tornare ad essere riutilizzati con amore da terzi con il doppio fine di produrre meno rifiuti e diminuire lo sfruttamento di materie prime necessarie per la produzione di nuovi capi.

Altro fenomeno sempre più in voga è il fashion renting, ossia letteralmente il noleggio di vestiti, pratica che si sta diffondendo soprattutto in occasione di eventi one day per i quali spesso vengono acquistati abiti per una sola grande occasione e poi mai più indossati, meglio prenderli in prestito no?